La mia terra è il luogo dove ho imparato a camminare, le cui vette mi hanno offerto per la prima volta l’esperienza dell’Assoluto.
Il Trentino. Prima che un nome e un fatto politico per me è aria e luce, realtà di pane e nuvole, ricordi, storie incarnate nel mio volto e in quello dei miei cari.
Il nostro sentire sta impallidendo. Mi guardo intorno e il mio occhio non può riposare in alcun luogo, trovare uno spazio di bellezza intatta, in questo panorama di febbraio 2018 sulla valle dell’Adige. Mia origine.
Aspetto il ritorno delle foglie e del sole che ingentiliscano lo scabro paesaggio, sterilizzato nel tentativo di rendere funzionale e produttivo ogni fazzoletto di terra.
Impianti agricoli intensivi, dove i fusti delle piante, sostenuti da pali di cemento e fili d’acciaio, sembrano ridotti a tubi da cui spremere un poco di vita ancora per trasformarla in moneta.
Strade e sempre strade che portano ai centri del commercio, luoghi di evasione, di distrazione dall’incombente non senso. O alle nostre case, dove viviamo in difesa, dentro rifugi di calore assediati da un mondo sempre più complicato, che spaventa.
Con la primavera le campagne diventano più belle, ma occorre fare attenzione alle nubi tossiche dei pesticidi ed evitare di portare bambini o cani tra i filari, potrebbero avvelenarsi.
Mi rifugio in casa, sono stanca.
Diamo via distrattamente le cose fondamentali per avere in cambio un’illusione di sicurezza. Abbiamo ancora paura di non avere di che sopravvivere, abbiamo ancora paura della morte, della solitudine, nonostante tutti i nostri tentativi di rendere la natura, il creato, funzionale ai nostri bisogni, lenitivi per le nostre angosce. Dominio, controllo. Sembriamo non conoscere altro modo per affrontare l’impatto con la vita, così più grande di noi piccoli, teneri, feroci umani.
E’ da tempo che non vedo un campo di meli. Quelli che sanno sorreggersi da soli. Quelli con erba e vita che brulica intorno.
L’indifferenza e la strumentalizzazione di qualsiasi cosa, vivente o meno, verso un profitto che avvantaggia pochi e si ritorce contro molti, con le sue pesanti sequele di distruzione ambientale, sfregio del paesaggio, messa a rischio di specie viventi, abbassamento complessivo della qualità del vivere, non stupiscono più. Non le notiamo quasi più, sono diventate l’unico linguaggio.
O forse no, perché ancora provo nostalgia della bellezza che conoscevo e che ancora ritrovo preservata in alcuni luoghi, dove solo timidamente avanzano la monocultura, la cementificazione, l’omologazione architettonica, la mediocrità (ma occorre prestare attenzione, occorre porre rimedio quanto prima).
Ancora non si è piegata la mia volontà di far sapere a mio figlio che sua madre è rimasta in piedi, ha conservato l’ardore, come un melo antico, con un vero tronco e frutti saporiti, resistenti. E non ha gettato via la voglia di amare ed esserci insieme alle illusioni.
Ti canto, terra delle vette e dei nonni.
Dell’odore di mele in cantina.
Delle piccole sagre su sfondo di larici e abeti.
Dei laghi, dei torrenti che cantano. Dei colori incendiati mentre il sole scende sulla Valle blu.
Delle corse tra i fiori di campo.
Dell’andarsene per aprire la mente e tornare innamorati di qualcosa che non posso spiegare.
Voglio proteggerti. Voglio conservarti.
Sei terra viva, sei luogo materno. Sei piccola e sei il tutto per chi, ancora bambino, si affaccia sul mondo.
Resisti. Ti vedremo rifiorire.
Quando sarò stanca mi rifugerò ancora nell’abbraccio del vecchio Monte Calisio, la cui saggezza tutto consola e risana.
Dedicato a te.
Tua Anna.
2 commenti
Vania · 12/03/2018 alle 23:13
Molto bello leggerti Anna.
Anch’io voglio che i nostri figli possano camminare in una terra sana.
comunicazioni · 14/03/2018 alle 22:25
Grazie Vania! Sapranno che abbiamo tentato quello che era nelle nostre possibilità (o potremmo fare di più?) per provare a garantirglielo.